Intervista a Renzo Bergamo
Un pittore che sa disegnare e dipingere come un maestro del Settecento e che cerca un proprio mondo pittorico, da cui traspariscono i problemi e le speranze del nostro tempo. Renzo Bergamo è giovane e ha cominciato a dipingere, quando era ancora un ragazzino. A tredici anni lo presero talmente sul serio che, a Portogruaro, sua cittadina natale, in quella fascia estrema della provincia di Venezia che s’insinua fra quelle di Treviso e d’Udine, ancora Veneto e già Friuli, nel 1948 gli allestirono una vera e propria mostra personale che gli creò una fama di ragazzo prodigio. Una pittura da adolescente la sua, sensibile alle suggestioni dell'espressionismo, e filtrata a volte su certi esempi di pittura alla De Pisis, che in quegli anni pontificava a Venezia, e sembrava l'espressione stessa di un certo tipo di pittura figurativa ancora accettabile fra tanti imperversanti avanguardismi. De Pisis percorreva le calli e le rive veneziane, col suo pappagallino sulla spalla, con il valletto gondoliere che gli reggeva le tele e la cassetta dei colori, e dipingeva "coram populo" con la stessa voluttà di un tenore che cantava le sue, romanze al proscenio. Bergamo, autodidatta, riusciva tuttavia a mantenere una propria identificabile fisionomia, attingendo istintivamente a certe risorse ambientali, a certe linfe che sempre affiorano nella pittura luminosa della scuola veneta, e in quella più carica d’ombre del Friuli, con una gioia del colore squillante, che si attenuava a volte in malinconici cromatismi di grigi e di terre. A quella prima mostra ne seguirono altre, una in ognuno degli anni successivi, sempre nell'ambito della provincia ammirata. Ma il ragazzo capì che cullato dall’adulazione degli amici e dei conoscenti non avrebbe potuto concludere nulla di buono. Eccolo allora partire per la Svizzera, dove frequenta di sera una scuola d'arte, e durante il giorno si guadagna da vivere con i mestieri più diversi. Sarà pasticciere e fornaio. Un po' di cucina, quindi, l'impara. Approfitta d’ogni vacanza per girare l'Europa a visitare musei e a conoscere gente dell'arte. Torna a casa ventenne e già con una certa esperienza di vita e di lavoro. L'ambiente veneziano si accorge di lui, ed ha qualche affermazione più decisiva. Fra i 22 e i 24 anni scopre la maremma Toscana, dove trascorre lunghe stagioni, anche perché la sua pittura così accesa, così appassionata, suscita un certo entusiasmo e trova numerose occasioni di lavoro. Il suo modo diviene più personale, inconfondibile oramai, e la sua origine di veneto delle campagne si adegua alla natura aspra del paesaggio si libera in una civiltà conviviale popolaresca e civile. Ricorda il periodo toscano come quello in cui ha mangiato meglio nella vita, ospite di un parente per cui la cucina era un rito, e un impegno costante. Sono di allora le sue prime affermazioni anche quale gastronomo. Un po' di tecnica ed un po' di fantasia, e i sapori sono come i colori: bisogna saperli accostare, e lui pare ci riesca benissimo. La vita di simpatico vitellone veneto, pur nella sua esuberanza felice, con i compromessi di una pittura domenicale e l'impegno col colore limitato solo ai periodi di sosta da un lavoro che lo limitava e lo condizionava, sia pure nell'ambito di una non inutile esperienza grafica, non gli riuscì più sopportabile, e come tanti che hanno coraggio ed iniziativa, e sono ben convinti di un proprio mondo da esprimere, approdò a Milano, affrontando l'ambiente della più industriosa città italiana, con una formidabile volontà di lavoro. La sua cordialità sapeva conquistare la fiducia di molti, ma la sua modestia ne limitava forse un’affermazione maiuscola, per quel tanto di superbia che occorre per elevarsi e farsi valere, fra valori tanto incerti e discutibili. Si accorsero in ogni caso subito che Renzo Bergamo conosceva benissimo il suo mestiere e sapeva disegnare come un maestro. Qualcuno anzi gli faceva pesare come un demerito stilistico questa sua bravura, ed egli la impegnava in opere non ufficiali, di puro mestiere che di volta in volta produceva alternandole alle altre di maggior impegno e che neppure voleva firmare, ritenendo che esse potessero quasi sminuirgli un suo ideale di pittura che andava puntigliosamente ricercando. La buona fede di Renzo Bergamo e la sua volontà di perfezionismo, sono fuori discussione, e si può forse riscontrare un caso limite di certa pittura giovane condizionata da un ambiente e da una moda, che agisce con suggestioni morali che contaminano un’autentica ispirazione pittorica, dandogli una dimensione intellettuale: pittura non da vedere, ma da decifrare. È doveroso tuttavia ammettere che anche in questa dimensione il talento genuino soccorre anche il solo tentativo di una for-ma concettuale. Nel 1964 Renzo Bergamo approdò an-che ad una mostra americana, in quel di New York, e fu presente con uno dei suoi periodi più immaginosi, quel-lo di una pittura cosmica, tutta attrazioni ed esplosioni, e disfacimenti, nella quale in cieli opacamente o luminosa-mente grigi, dei mondi sembrano esplodere. E ci vengono alla mente certi versi di David Maria Turoldo che sembrano quasi illustrare queste immagini, così attuali, la paura che il nostro mondo scoppi in festa pirotecnica, nel cielo vuoto L'America alienata e superficiale, con gli anni della propria esistenza punteggiati dagli scoppi delle bombe atomiche e dai lanci dei missili, sembrò scoprire l'immagine di certe sue paure nelle tele di questo giovane italiano, e il nome di Renzo Bergamo trovò laggiù un riconoscimento ed un’affermazione, che qua gli era forse mancata, in una così vasta misura, e che in ogni modo riverberò positivamente anche nell'ambiente italiano.
Le curve, i globi, il movimento di certe forme, da un'idea apocalittica ed escatologica, sembrarono poi ripiegare co-me in una nuovissima genesi verso le origini dell’esistenza, in un movimento cellulare, che curiosamente corrispondeva a quello dello scoppio nucleare, e Bergamo volle renderlo graficamente, in una castità che, come già una volta era stato puntigliosamente figurativo, lo portava ora ad un nuovo puntiglio di astrazione, sacrificando la sua bravura di disegnatore e di colorista alla monocromia dì un bianco immacolato, dove piccoli rilievi accentua-no appena una delicata e variabile grafia dì ombre. Lo troviamo nel suo studio, un appartamentino bohèmienne nel cuore della vecchia Milano, tutto circondato da questo candore del suo nuovo modo di dipingere, mentre egli schizza rapidamente sulla carta le sue idee, prima di riportarle sulle sue grandi tele. E intanto ascolta, stranamente, musiche settecentesche, d’Albinoni e di Vivaldi, nelle quali sembra quasi trovare il ritmo delle sue ansie segrete E' certo difficile riconoscere in questo nuovo modo di dipingere la personalità esuberante e festosa, vorremmo quasi dire festaiola, di Renzo Bergamo, ma forse è proprio ammirevole per questo quel suo sdoppiarsi fra mestiere e arte, in cui tuttavia può sorgere anche il legittimo sospetto che l'arte abiti il suo "mestiere" molto di più di quanto creda egli stesso. Bergamo ad esempio non ama confidare che è uno specialista nel disegnare i francobolli e che ne ha prodotti in bellissime serie per la repubblica di San Marino e per quella di Panama. La sua natura di veneto-friulano si rivela per un costante amore verso certe abitudini di vita, che egli ama ricreare nel suo piccolo luogo di lavoro dove troneggia un camino con le panchine intorno, memore dei tranquilli conversari e delle dolci veglie, centellinando vini e grappe corroboranti. Bergamo ha una vocazione spiccata alle gioie della casa, e quindi anche alla cucina, nella quale s’impegna di tanto in tanto con autentica perizia. Vuol essere sempre un professionista, ci dice, e certe sue ricette sono di un’indiscutibile squisitezza. Deve la sua fama di gastronomo particolarmente ad una lepre in salmi, sulla cui confezione ama mantenere il segreto. Segreto che noi sveleremo perché in fondo si può decifrare e ricostruire una ricetta dì cucina, proprio come si può decifrare un'opera d'arte. A parte gli elementi un po' complessi ed inediti, ma non poi tanto, della lepre, la sua per il resto è una cucina casta, che parte dall'essenziale ed esalta gli ingredienti più umili, come ad esempio quella polenta con il latte, lievemente dolcificata di miele, che a tutti i veneti, con memorie agresti della propria infanzia, riempie il cuore di tenerezza. Nel suo studio scopriamo una certa geometria accuratamente preordinata, che somiglia molto alle linee dì certi quadri affatto diversi dal suo stile, e che appartengono, ci dice alla fidanzata, una pittrice anche lei, e responsabile probabilmente di questo nuovo modo “in albis”. Nel pomeriggio il sole entra nelle stanzette con i suoi raggi obliqui e dorati, e le tele bianche si animano d’ombre più sostanziose, sembrano avere un loro respiro, scandire un tempo misterioso, meridiane lievissime, rivelando una loro particolare anima, che danza davvero negli "adagio" dei concerti d’Albinoni. Il sospetto di gratuità, e di un adeguamento a freddo, alla moda, ci è quindi fugato e si riesce a capire la semplicità di un figurativo che si è costretto a tanta povertà. Ma è una di quelle povertà che può diventare ricchezza interiore, come accade a certi uomini di mondo e di lettere che si ritirano in un cenobio. Fortunatamente se la pittura di Bergamo è a questo punto, la sua gioia di vivere non n’è contagiata, e la serata trascorsa in una simpatica gargotte dei paraggi, nel pittoresco mondo delle arti maggiori e minori, ce ne dà una concreta conferma. Gli viene anzi l’estro di cucinare. Cerca ingredienti e tegami, gradua la fiammella del gas. Ci prepara el "museto imbriago", un piatto robusto e saporoso. Che evoca la sua terra d’origine. Gli amici attendono pazienti, e intanto si discute di arte figurativa ed astratta. Poi il "cotechino ubriaco" giunge in tavola in una nuvoletta di vapori olezzanti, e figurativi ed astrattisti sono ora concordi nell'assaggiarlo e nel trovarlo eccellente.
1967