Pittura della complessità
PREMESSA
Aristotelicamente la distinzione tra scienze e arti si riduce a una questione di oggetto: l’episteme, poggia su ciò che è eterno e necessario, mentre le técnai, si occupano di ciò che è transeunte, passeggero, variabile. In quanto sono entrambe discipline organizzano la definizione del proprio objectum, ne rendono possibile la conoscenza. Se non fossero organizzate per raccogliere e organizzare l’insieme delle regole che formano l’argomento del proprio studio, non avrebbero nemmeno senso. Non si dà conoscenza strutturata, sapere, al di fuori di un sistema di regole che forma un proprio oggetto disciplinare. Anche per Diderot le cose restano più o meno nello stesso modo. Nell’ Enciclopedie la scienza si occupa dell’insieme delle osservazioni empiriche e delle regole che le governano, l’arte invece dell’insieme e dell’organizzazione delle tecniche che servono a costruire oggetti. Il Caos è più importante dell'ordine, spiega fenomeni complessi che sono numerosi e riguardano non solo le scienze fisiche, ma anche la psicologia, la sociologia, l’economia. L’Università di Santa Fè nel New Mexico nacque nel 1984 proprio per cercare di uniformare campi di studio differenti attraverso una teoria unificata che mettesse insieme Caos e Complessità, con un richiamo a Ilya Prigogine e i suoi studi pioneristici del 1959. Del resto il Caos è la situazione più comune in Natura, mentre l'ordine è abbastanza raro, e può essere facilmente alterato da piccoli spostamenti, da lievi perturbazioni. Sembra che la stessa Natura usi il Caos come parte fondamentale del suo programma di evoluzione. Per risolvere il problema centrale di adattare le forme di vita per la sopravvivenza in un ambiente che è in incessante mutazione, con trasformazioni complesse e apparentemente caotico, qualsiasi schematismo deterministico sarebbe insufficiente.
Perciò la Natura sceglie di combattere il Caos con il Caos, generando una moltitudine di forme di vita attraverso le mutazioni casuali. La teoria del Caos apre le porte alla flessibilità, ai sistemi aperti e non chiusi, a non poter prevedere gli esiti delle mutazioni e delle creazioni. Gli effetti alla lunga non sono prevedibili, qualcosa sfugge sempre. Ogni eccessiva specializzazione porta all’atrofia, la varietà di cui la biologia offre tante testimonianze, è una caratteristica di sopravvivenza e di strategia collaborativa necessaria in un universo sempre meno controllabile e certo nei suoi meccanismi di funzionamento.
L'ARTISTA E LA SCIENZA
E mentre oggi è l’arte che si è riconquistata uno spazio di extraterritorialità rispetto ai ritmi del lavoro postindustriale, è il mondo dell’economia che valuta in modo sempre più favorevole l’utilizzazione e l’interazione tra gli artisti e i rispettivi campi di ricerca. Perché in effetti ogni artista contemporaneo al di là del linguaggio che sceglie, che è capace di crearsi, è comunque un esperto di comunicazione, possiede una cultura ampia del proprio tempo e ha il dono della sintesi: riesce in opera a compattare informazioni ed emozioni, come nessun altro codice\messaggio riesce a fare. Il sapere del resto si tramanda attraverso istituzioni che ereditano la ripartizione altomedievale delle materie divise tra quadrivio e trivio, in cui le prime si concentrano lentamente nelle scienze esatte che possono essere trasmesse senza problemi di opinioni riducenti, mentre le seconde appartengono a quelle che oggi si possono definire le discipline umanistiche, e quindi che non possiedono quella certezza e necessità delle prime. Per questo se l’articolazione in discipline della sfera del sapere discende direttamente da Aristotele certamente è il concetto di matéma (ciò che può essere insegnato), da cui l’importanza della matematica e la sua sempre più forte prevalenza nel campo delle scienze, che ha scavato dei solchi tra l’episteme e le técnai. Renzo Bergamo ha sempre manifestato, cioè letteralmente “reso manifesta”, la relazione visiva tra il Caos come propulsore di idee e novità e la creatività dell’artista consapevole. Al contrario di altre declinazioni del linguaggio informale o aniconico, Bergamo ha seguito sempre un preciso progetto, non si è affidato all’eterea e consolante facilità dell’inconscio che parla da solo in un soliloquio da interpretare post. In quella tendenza, infatti, vi era la negazione di una conoscenza razionale della realtà e rappresentazione di un universo caotico, unica testimonianza dell’essere e dell’agire. Nell’Informale gestuale il risultato che si ottiene deriva dagli automatismi, psichici e legati alla pratica pittorica, si tratta di dare spazio alle energie interiori. Nel "gesto" non v'è alcun momento cosciente, che cerchi di razionalizzare o spiegare ciò che proviene dall’inconscio. In ogni caso si tratta di una pratica legata all’uomo e alla sua cultura, quindi alla sua soggettività. Ma il gesto è a sua volta generatore di segni, collega l’universo semiotico con l’energia cosmica. La sua “EstEtica del Caos” sviluppata soprattutto nell’ultimo decennio del secolo appena passato, è un paradigma del rapporto tra arte e scienza, la sintesi di un lavoro incessante di riflessione tra le forze cosmiche e quelle dell’individualità artistica. Bergamo ha saputo sviluppare una poetica “naturale” che non è mai descrittiva, ma cerca nell’interiorità del proprio essere artista un riflesso delle forze che agitano l’universo. La spontaneità viene dall’esperienza, ma soprattutto da una progettualità che sa mettere in parallelo l’arte con la fisica senza affidare all’una le funzioni dell’altra e soprattutto senza dare alla pittura il compito di diventare una semplice metafora dell’altra. Bergamo ha saputo costituire non solo un ciclo di opere coeso e coerente, ma ha voluto permeare l’intensità del Caos come corrente vitale, scontro di forme e di sostanze, infinito ritorno del differente. La sua pittura costituisce di per sé un nuovo linguaggio non appaiabile ad esperienze precedenti se non per delle similitudini di superficie. Ha saputo mescolare una profonda esigenza personale di comprensione dell’ordine cosmico, con una intuizione chiara sulla costituzione delle forze intime dell’universo. Il suo lavoro non si limita a cercare delle semplici analogie o delle titolazioni accattivanti. Il suo progetto ha anche un valore sociale in quanto il Caos che lui fa diventare protagonista del suo ciclo ha da un lato un risvolto scientifico, dall’altro diventa esso stesso una metafora della società. Arte e scienza diventano solidali, ed è questa la novità per fornire una visione del mondo contemporaneo che si arricchisce attraverso la congiunzione dell’etica e dell’estetica. La visione dell’artista vuole essere una risposta che unifica macro e microcosmo sotto il segno della Volontà. Non è possibile che l’arte e la scienza non si assumano delle responsabilità, non vadano oltre la normale “soluzione di problemi”. Può un’arte astratta arrivare a tutto questo? La risposta è positiva a leggere in profondità la qualità pittorica di Bergamo e anche la sua necessità di dare alla pittura una voce diversa da quella che le si attribuisce di solito, cioè di piacevole accessorio del mondo. È interessante in Bergamo proprio la sua capacità di sintesi rispetto ad una posizione civile dell’artista, al suo ruolo nella società e anche come posizione nel mondo. La pittura aniconica è per lui terreno di conflitti tra e forze interne alla creazione, tra la Luce e la Terra secondo la filosofia di Heidegger, ma anche luogo privilegiato di un’assunzione del regno della volontà alla Schopenhauer. Non siamo soggetti passivi, gli uomini possono modificare l’universo a cominciare da sé stessi. Bisogna evitare la seduzione della rappresentazione, la menzogna del vedere, del creare un’immagine del Caos che sia in qualche modo riconducibile ad un qualsiasi ordine. Bergamo rappresenta dei processi, rivela le regole del gioco in una sintesi concettuale tra il linguaggio della pittura e le teorie scientifiche senza gerarchie o subordinazioni. Estetica ed etica convivono nella stessa parola e non a caso. Anche perché vi è un costante richiamo ad una sorta di ordine della bellezza, fino alle sue declinazioni novecentesche prossime all’asimmetrico e all’amorfo, rispetto ad una concezione etica ancorata ad un ordine strutturale del mondo. L’artista coglie del caso gli elementi processuali, il farsi delle cose e lo conduce verso una visione in cui l’estetica appare come linea di confine, intravista, come una approssimazione simbolica. È il concetto dell’asintoto, di una linea di tendenza, di uno sviluppo infinito delle forme. Il Caos può avere una connotazione negativa in quanto specchio della società a cui presta il soccorso l’estetica, come nuovo e possibile paradigma. L’incapacità di decidere, la molteplicità delle direzioni, la ricerca disperante di una soluzione e di una chiarificazione dei processi, sono elementi metaforici si un universo sociale in grave crisi, come quello attuale. Per questo la posizione di Renzo Bergamo è complessa. Caos e complessità sono infatti due concetti scientifici in stretta relazione. La sua idea è stata quella di tenere saldo l’ancoraggio alla pittura, il valore strutturale del dipingere come prassi artistica e atteggiamento positivo di riflessione sulle cose e sul mondo. Attorno a questa pittura ha saputo costruire una struttura concettuale non costrittiva dal punto di vista dell’influenza sul lavoro creativo, ma nello stesso tempo solida come riferimenti contestuali. Il suo modo di dipingere ha origini proprio dalla capacità di attrarre la sensibilità del pittore nei confronti del farsi della materia. Il rapporto con il colore è sempre radicalmente misurato, non vi sono azzardi proprio perché si tratta di una sostanza che si sta facendo. Però nello stesso tempo è evidente che dietro l’apparente destrutturazione formale, si nascondano forze soggiacenti che animano il ductus e l’incisiva leggerezza del colore. Anche la sua caratteristica accumulazione di profondità cromatica abbagliata da apparizioni di luce, denotano la ricerca di un emergere della luce dalle tenebre. I suoi segni appaiono scrittura, quindi ordine, legami sintagmatici, e hanno dei richiami al ritmo semiotico di un Kandinskij. Il Caos, ci dice l’artista, non è il Caso, l’hazard duchampiana, se non per una sua irrilevante percentuale, quella che si deve a tutte le forme d’arte. Noi assistiamo attraverso le sue opere ad una vasta interazione di forme e di significati, ad un conflitto positivo e proposito in cui la Volontà incontra il Mondo, l’Arte si fonde con la Scienza. Il Caos è anche il brutto, come negazione della bellezza e luogo in cui si manifesta in male e la volontà irrelata, secondo il pensiero ottocentesco. Ma oggi possiede elementi dinamici di bellezza, visioni di purezza e di suono interiore anche perché la pittura è protagonista del pensiero contemporaneo, filosofia del vivere e del conoscere. L'opera di Renzo Bergamo sta in questo passare da un registro all’altro, nel collocare la soggettività all’interno di un risveglio della natura, del suo ventre, sedimento di storia, di un passato ancora senza le tracce dell’uomo. Probabilmente proprio questo risultato ha come effetto quello di indurre alla contemplazione che è sguardo dell’uno e del tutto, perché il suo oggetto è mutevole e ricco di significazioni differenti. L’arte ricerca dopo che ha trovato il suo soggetto, l’artista decide di ricercare dopo aver scelto la sua porzione di mondo e di soggettività. Prima della ricerca viene l’interesse per l’oggetto della contemplazione, cioè l’inter-esse, che è un essere-dentro e tenerci molto a questo “dentro”. Ma occorre anche la memoria, che è la base dell’intelligenza e del racconto. Memoria è anche misura (dal greco mnemosùne), ed è un luogo dove si trovano le cose viste e imparate, o dove si inventano. E inventare (dal latino invenìre) significa semplicemente trovare. “Non mi cercheresti se non mi avessi già trovato”, diceva Agostino, riferendosi all’Eterno che dialoga con l’uomo.
Renzo Bergamo ha sempre manifestato, cioè letteralmente “reso manifesta”, la relazione visiva tra il Caos come propulsore di idee e novità e la creatività dell’artista consapevole.
La sua “EstEtica del Caos” sviluppata soprattutto nell’ultimo decennio del secolo appena passato, è un paradigma del rapporto tra arte e scienza, la sintesi di un lavoro incessante di riflessione tra le forze cosmiche e quelle dell’individualità artistica. Bergamo ha saputo sviluppare una poetica “naturale” che non è mai descrittiva, ma cerca nell’interiorità del proprio essere artista un riflesso delle forze che agitano l’universo.
Ha saputo costituire non solo un ciclo di opere coeso e coerente, ma ha voluto permeare l’intensità del Caos come corrente vitale, scontro di forme e di sostanze, infinito ritorno del differente. La sua pittura costituisce di per sé un nuovo linguaggio non appaiabile ad esperienze precedenti se non per delle similitudini di superficie.
La visione dell’artista vuole essere una risposta che unisce macro e microcosmo sotto il segno della Volontà. Non è possibile che l’arte e la scienza non si assumano delle responsabilità, non vadano oltre la normale “soluzione di problemi”. Può un’arte astratta arrivare a tutto questo? La risposta è positiva a leggere in profondità la qualità pittorica di Bergamo e anche la sua necessità di dare alla pittura una voce diversa da quella che le si attribuisce di solito, cioè di piacevole accessorio del mondo. È interessante in Bergamo proprio la sua capacità di sintesi rispetto ad una posizione civile dell’artista, al suo ruolo nella società e anche come posizione nel mondo. Non siamo soggetti passivi, gli uomini possono modificare l’universo a cominciare da sé stessi. Bergamo rappresenta dei processi, rivela le regole del gioco in una sintesi concettuale tra il linguaggio della pittura e le teorie scientiche senza gerarchie o subordinazioni. Estetica ed etica convivono nella stessa parola perché vi è un costante richiamo ad una sorta di ordine della bellezza.
2014