Il Matrimonio tra cielo e terra
Il Frammento. Lo sguardo che per sua natura percepisce di volta in volta frammenti d'Universo. Frammenti di forme, ma forme compiute nella loro incompiutezza, nel loro indefinito, temporali ed atemporali, comunque mobili nell'istante della percezione, densità corporee o tracce appena sfiorate in uno spazio pittorico che pare allontanarle le une dalle altre, ma che in realtà le avvolge, le scuote, le rende vibrazioni musicali primordiali, o primigeni elementi della natura, biologici e cosmici. Il movimento è duplice, lo sguardo si disperde in molteplici sguardi e contemporaneamente ritorna ad un nucleo di partenza che connette ciascun frammento di moto interiore materializzatosi nella forma, ad una sequenza, in avanti e all'indietro di passi di danza. Con equilibrata ironia, lo sguardo viene condotto al paradosso riguardante il principio d'unità nelle differenze, più in particolare un movimento spazio-temporale di segni e forme che è contemporaneamente di sprofondamento e di affioramento, di trattenuto dispiegamento. Quasi che il frammento stesso producesse il miraggio di un'espansione dinamica e dialettica, tra interno ed esterno, tra il particolare ed il tutto: rarefatto, scardinato pentagramma di voci della carne del cosmo che si è fatta interiore, si è fatta particolare umano, o frammento umano, nell'immagine materica dell'opera. In quell' immagine che sussurra ed echeggia in piccole grida la coscienza storica del vissuto, dello sperimentato e dell'esperire. È qui segno ricorrente la spirale. La linea sinuosa, ondeggiante, che si fa cuore, ritmo di bellezza e piacere, intensa e concentrata gioia dell'esistere nell'incessante divenire. Ogni snodamento o avvolgimento su sé stessa conduce lo sguardo in avanti e all'indietro, creando sempre nuovi fuochi in ogni punto del suo corpo affinato. È linea che introduce, nell'immobilità del piano, prospettive di cui non si sa dire la fine né l'origine (le quali probabilmente sono semplice identità, sono ritorno al principio). Linea che apre lo spazio-tempo alla molteplicità, in virtù della sua natura spiraliforme.
I riferimenti storico-artistico-culturali sono qui così abbondanti da rendere preferibile l'osservazione di questi lavori scegliendo arbitrariamente di far prevalere, su I l'associazione o sul procedere mentale di quella scrittura che si fa per analogie e dissimiglianze rispetto ad altri artisti, la semplice osservazione della singolarità, della soggettività introspettiva dei fare creativo di questo artista. Certo, si potrebbe facilmente immergersi in riferimenti all'astrattismo, e non solo, ma il percorso conoscitivo che l'artista, di opera in opera, fa affiorare alla visibilità, va collocato in una dimensione altra, va percepito forse attraverso una differente tensione della capacità percettiva individuale. Sarà in questo modo possibile l'intendere coscientemente o meno quanto i suoi lavori siano gravidi, senza mai debordare, di quella dimensione esistenziale, storica, culturale, e, per quanto lo concerne, artistica, che non si può nominare se non attraverso la parola altrove. Si tratta quindi dell'altrove dell'astrattismo e di quanto da esso è derivato, così come dell'altrove di qualsiasi forma di realismo e di tutto ciò che ne ha costituito la linea evolutiva fino ad oggi. Perché, allora, non accostarci all'opera di Renzo Bergamo semplicemente in quanto esplorazione, attraverso il quotidiano lavoro artistico, della presenza (a volte più presenza in quanto assenza) dell'altrove? Ciascuno di noi appartiene parzialmente ad esso, che ne abbia cognizione o meno. Un introdurre questa parola produce, per sua natura, semplici, immediate evocazioni. L'altrove concerne l'ignoto, il mistero, così come l'essere, in quanto nati e mortali, segreti a noi stessi, in parte più o meno percepita. Un altrove concerne la questione dell'origine e dei ritorno, di un reale umano sempre in prospettiva, in tensione verso quella luce pulsante dei desiderio che accende di sé l'oscura densità dei cosmo, così come può generare l'inquietante interrogazione che emerge imperiosa là dove ci si scopre, anche per un solo istante, irrisolti legamenti di cellule e di indicibilità dell'essere in un universi-so in incessante rivoluzione.
Perché tentare di definire, di incollare un appiccicoso significato a queste immagini, di interpretarle e di dispiegare il consueto ventaglio di illusionistiche e snaturanti parole piene o semipiene? Preferisco qui tentare invece un'operazione inversa: restituire la parola al silenzio da cui proviene, incavarla fino allo svuotamento di significato fisso, cifrato, per permettere alla parola stessa di lasciarsi infiammare e denudare dalle immagini dell'artista e dalla loro peculiare produzione di senso. La scrittura diventa un lasciarsi scrivere, un essere scritti dal movimento dinamico del guardare.
Nell'osservare questi lavori, avviene che lo sguardo ne trasforma l'oggetto' ed al contempo è da quest'ultimo trasformato. Renzo Bergamo opera sulla forma interrogando e risolvendo l'altrove in termini di sogno, d'incanto, di incantesimo e di paradosso. Lo sguardo incontra, nel tessuto delle immagini a cui Bergamo dà ritmo, la collisione degli opposti, lo svolgersi di un processo di contraddizione tra elementi compositivi dall'apparenza pseudo-geometrica, distinti da un'eleganza classica, ed elementi testimoni dell'indeterminato, dei senza fine né inizio, mossi da un'eleganza sinuosa, sensuale. Il suddetto processo di contraddizione si trasforma in movimento dialettico che conduce all'unità degli opposti, i quali sembrano cedere la loro antinomia in modo da riprodursi all'interno della composizione come elementi non tanto complementari quanto necessari l'uno all'altro. Necessari per intima legge di natura. Essi si istituiscono reciprocamente, danno molteplicità di voci e vite prospettiche l'uno all'altro, ordinano lo spazio-tempo dell'opera in ancestrale e più che mai vivo moto e ritmo musicale. Il moto e ritmo, la musica il cui silenzio è pulsazione di luce (per colui che sa 'ascoltare' il silenzio), di tutto ciò che è vibrazione, fluttuare d'energia nell'universo. Essi scrivono infine, nel loro linguaggio che sussurra e riecheggia delle "diecimila cose", una bellezza dall'eleganza calibrata, che va di pari passo con la percezione di una diffusa, permeante sensualità.
"Ciò che è importante, nel cogliere lo spirito dei paesaggio, è stare tra il simile e il verosimile". Così si esprimevano, nel linguaggio di natura taoista, gli antichi maestri cinesi di pittura di paesaggio ad inchiostro monocromo, e non a caso indicavano quale 'oggetto-soggetto del dipinto non il paesaggio, bensì "lo spirito del paesaggio". In alcuni tra i lavori di Renzo Bergamo si possono cogliere riferimenti formali riconducibili mentalmente ad “oggetti” di cui si è sperimentata la percezione nel reale quotidiano. Ma ciò che persiste e domina la scrittura dei suoi quadri è l'ambiguità di quella stessa forma, la sua possibile identificazione o identità, coesistente con la sua estranianza a sé stessa ed il conseguente effetto spaesante. L'energia propulsiva di quel processo psichico che giunge ad interiorizzare la “cosa”, a farla propria senza mai padroneggiarla, semmai lasciandosi trasportare ed accogliendo al contempo la vita altra che ad essa è dato esprimere, si coglie nell'intrecciarsi e separarsi delle forme, nel loro illuminarsi in un taglio secco, acuto, o nel rapido, deflagrante fulmine e tuono della iterata ed iterante linea curva, che in altri momenti invece fluttua e sfugge, sensualmente morbida e flessibile. Va da sé che quella forma, soglia di tracce di reale in un paesaggio che si scrive ben oltre l'illusionismo ottico degli elementi cosiddetti 'visibili', è effettivamente una semplice traccia, un resto che dà vita ad un effetto di senso. 'Cosa', quest'ultima, che non potrebbe esistere se non fosse generata dal suddetto saper cogliere I' 'oggetto-soggetto del dipinto tra “simile" e il verosimile" Renzo Bergamo disegna e dipinge paesaggi universali, paesaggi dove l'umano è tanto più presente in quanto in absentia, e respira tra chaos e cosmos, tra rapsodia luminosa della visione o rivisitazione interiore ed intelligenza ordinatrice della coscienza. L'opera è strutturata dal linguaggio della visione, che sa del mistero, dell'ignoto e dell'incanto della creazione. Così come è cammino conoscitivo ed esplorativo, da equilibrista tra cielo e terra, su quel teso cordone ombelicale che connette microcosmo e macrocosmo in un reciproco rapporto nutritivo. “Dove va la linea curva?", si chiede nell'abbraccio dubbioso tra Eros e Psiche, Renzo Bergamo. Se il procedere della linea curva si compie in una circolarità, evocante ciclicità, occorre affermare che, in tale cecità, non esiste ripetizione se non nella differenza. Così accade che 'Il Ritorno è il movimento del Dao (la Via, e ancora: “la Via veramente Via non è una Via costante. I Termini, veramente Termini, non sono termini costanti. così, è grazie al costante alternarsi del Non-essere è dell'Essere che si vedranno dell'uno i prodigi, dell'altro i confini. Questi due, sebbene abbiano un'origine comune, sono designati con termini diversi. Ciò che essi hanno in comune, io lo chiamo il Mistero, il Mistero Supremo, la porta di tutti i prodigi". (Dao-te-Ching)
1994