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15 gennaio 2013
IL BAMBINO GENERATO DALLA MATERIA
di Giulio Giorello

Ricordate Attorno alla Luna (1870) di Jules Verne? Un proiettile con a
bordo degli esploratori è stato sparato “nell’anno 186...” dalla superfi cie
della Terra verso il nostro satellite, che i nostri eroi contemplano da
vicino grazie agli oblò di cui è corredata questa primitiva astronave.
Durante questa strana odissea, due di loro, l’ingegner Barbicane e il
capitano Nicholl, discutono animatamente se il proiettile debba seguire
un’orbita parabolica piuttosto che iperbolica e, mentre reciprocamente
si scambiano “spiegazioni zeppe di x”, il terzo personaggio,
“l’avventuriero” Michel Ardan, letteralmente rabbrividisce, perché
non capisce nulla di matematica. Intanto gli avversari si riconciliano,
quando scoprono che il proiettile descrive un’orbita intorno alla Luna
che sarà “necessariamente” di tipo ellittico. I due teorici rendono così
omaggio ai grandi dell’astronomia moderna – da Copernico e Galileo
a Keplero e Newton, per non dire del grande teorico della meccanica
celeste Henri Poincaré –, ma intanto cercano di ritoccare la traiettoria
dell’abitacolo con qualche piccola perturbazione, in modo di impedire
al proiettile di diventare a sua volta un satellite della Luna, ove resterebbero
perpetuamente prigionieri. I nostri, proprio grazie a quel po’
di x che fanno inorridire il pratico Ardan, ce la faranno e riusciranno
a tornare incolumi sulla Terra.
Renzo Bergamo è stato un artista di grande potenza rappresentativa, che
ha cercato in tutta la sua generosa attività di dare forma visibile non alle
cose così come ci appaiono nella percezione quotidiana e nemmeno ai
demoni della propria interiorità, ma alle componenti del mondo esplorato
dalla scienza nostra contemporanea: particelle elementari, atomi,
molecole, ma anche pianeti, stelle e galassie – donando così una forma
miracoli sono “oggetti di conoscenza”. Il Caos che l’affascinava non era
però – per dirla con le parole del fi losofo Martin Heidegger – “selvaggio
disordine”, bensì “l’insoggiogabile ricchezza del divenire”.
È proprio vero, per citare un altro fi losofo, Karl Popper, che ogni buona
fi losofi a è “anzitutto cosmologia”; e la fi losofi a di Bergamo non è solo
contenuta in alcune sue lapidarie dichiarazioni, ma anche (e soprattutto)
nella sua arte, dove appunto le frasi sono quegli indimenticabili intrichi di
linee e contrasti di colore. D’altra parte, Renzo non andava in cerca dell’interiorità
celata nell’animo dell’artista e nemmeno di valori estetici fi ni a se
stessi, bensì delle idee di fondo che possono legare insieme speculazione
fi sica e rappresentazione pittorica. “La luce è la scrittura dell’Universo”,
amava ripetere, forse senza nemmeno curarsi del fatto che riprendeva
così il grande tema per cui “Tutte le cose sono luce”. Un tema che era
stato caro ai pensatori del cosiddetto oscuro Medioevo: dall’irlandese
Giovanni Scoto Eriugena a Roberto di Lincoln detto il Grossatesta. Ma
anche un motivo che riaffi ora prepotentemente nel Novecento in teorie
fi siche come quelle di Einstein o nei versi apparentemente frammentari
degli ultimi Cantos di Ezra Pound. È stato detto che Bergamo perseguiva
la rappresentazione del mito di una nuova scienza, che ha sottoposto a
tensione le nozioni del senso comune fi no a portarle oltre l’immaginazione.
Ma non si deve dimenticare che nel greco di Omero mito voleva dire
parola vera e che era non al possesso ma alla ricerca ininterrotta della
verità che mirava questo artista, che amava defi nirsi “fi glio della galassia”
ma anche “bambino generato dalla materia”.